LA
GUERRA ALL’IRAQ E L’ “UOMO D’ONORE”
di
Michele DI SCHIENA
La suggestiva “tecnica” letteraria, utilizzata da Shakespeare nel “Giulio Cesare”, di far parlare l’evidenza dei fatti per dimostrare la tragica falsità di chi, vantando un immeritato credito, li vuole negare o stravolgere, può forse essere presa in prestito per svelare, col ricorso a qualche ardita perifrasi, la sconcertante assurdità delle logiche con le quali la Casa Bianca ha confezionato e sta proponendo sullo scenario internazionale la nefasta teoria della guerra preventiva in vista dell’attacco contro l’Iraq.
Non c’è prova che l’Iraq disponga di armi di distruzione di massa. Non importa, perché secondo Bush la prova esiste e Bush è un uomo d’onore. Non si capisce perché mai le armi di distruzione di massa siano un terribile pericolo se a possederle è il governo di Bagdad e non lo siano se si trovano nelle mani di altri governi, compresi quelli autoritari ed avventurieri come o più del regime iracheno. Ma sì, una valida ragione ci deve essere perché lo pensa Bush e Bush è un uomo d’onore. Gli ispettori dell’Onu chiedono più tempo per approfondire e completare i loro accertamenti. Perché mai, il tempo è scaduto e l’esito delle loro indagini non potrà comunque smentire la “verità” statunitense dal momento che lo dice Bush e Bush è un uomo d’onore. Sembra invero priva di senso e carica di prevaricazione l’alternativa posta in sostanza da Washington a Bagdad per la quale se gli ispettori trovano le armi vietate la guerra si deve fare perché l’Iraq ha così violato il disposto delle risoluzioni dell’Onu e se invece non le trovano la punizione bellica va ugualmente inflitta perché è Saddam Hussein che non le ha fatte trovare disattendendo anche in tal modo le intimazioni delle Nazioni Unite. Ma no, si tratta di un’alternativa seria e ragionevole perché la accredita Bush e Bush è un uomo d’onore.
Ed ancora: dichiarare un giorno sì e l’altro pure l’irrilevanza ai fini dell’intervento armato di qualsiasi pronunciamento dell’Onu che non sia formulato su dettatura della Casa Bianca significa infliggere un colpo forse mortale alle Nazioni Unite. Niente affatto, è invece un saggio comportamento politico perché lo sostiene Bush e Bush è un uomo d’onore. Si appalesa sconsiderata ed iniqua la decisione di scatenare una guerra che seminerà certamente morte e disastri e aggraverà la già pesante situazione economica mondiale: una scelta in aperto contrasto col pensiero di tanti intellettuali di diversa nazionalità, con le esortazioni della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose nonché con la sensibilità della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale. Non è così, si tratta di una determinazione responsabile e lungimirante perché lo proclama Bush e Bush è un uomo d’onore.
Ma qual è l’ “onore” di Bush? E’ un “onore” che scaturisce dall’esercizio illuminato della ragione o dalla mortificante suggestione provocata dall’uso indiscriminato e soverchiante della forza? E’ un “onore” fondato sul diritto che si afferma contro l’arbitrio o sull’arbitrio che vuole imporsi come diritto? E’ un “onore” meritato per l’impegno rivolto a tutelare e promuovere i diritti umani fondamentali in ogni parte del globo specialmente in favore degli “umiliati ed offesi” ovvero un “onore” preteso dal capo dell’ “impero” e ad esso tributato come “servo encomio” dai tanti cortigiani che si affollano alla Casa Bianca per elemosinare un posto alla sua mensa?
“O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perso la ragione”: un antico pessimismo questo forse eccessivo perché la maggior parte degli uomini dimostra e reclama buon senso e sentimenti di sollecitudine per le sorti del prossimo. Ma c’è un ristretto mondo che tiene nelle mani i destini dell’umanità, un mondo che sembra impazzito ed in preda ad una irrefrenabile smania di dominio coniugata con una inconsapevole inclinazione verso l’autodistruzione, con un vero e proprio “cupio dissolvi”. La speranza è che le maggioranze del buon senso e dei buoni sentimenti sappiano fermare il rovinoso delirio di potenza di queste minacciose ed arroganti minoranze.
Brindisi,
4 febbraio 2003