Una lettura politica ma anche tecnico giuridica, nella seconda parte, sui contenuti della protesta del movimento e la mancata repressione delle violenze urbane. L'articolo è stato inviato a Liberazione e Quotidiano nella giornata di oggi ed è stato scritto dall'amico del movimento il magistrato Michele Di Schiena da Brindisi

  

GENOVA: I CONTENUTI DELLA PROTESTA E LE VIOLENZE

 

Le violenze che hanno in questi giorni tinto di sangue Genova e spento una giovane vita segnano e segneranno di dolore e di fame di verità molti cuori e molte intelligenze ben oltre l’ondata di attenzione mediatica e politica del momento. Occorre tuttavia, per non cadere nella trappola dei travisamenti, partire dal centro della questione e cioè dai contenuti della protesta.

Chi è Edward Luttwak? Il figlio - come egli stesso dice - di un industriale capitalista ed imprenditore a sua volta, un liberista americano doc, un uomo vicino al Pentagono ed un esperto di strategia internazionale applicata anche ai fenomeni economici, l’autore di diverse pubblicazioni tradotte in molte lingue, l’opinionista straniero che, con incerto italiano e ruvida sincerità, esaltava in televisione, durante la guerra nei Balcani, l’egemonia statunitense sull’intero pianeta. Ebbene quest’uomo, nel suo libro dal titolo “La dittatura del capitalismo”, restando schierato in favore della globalizzazione neoliberista, dice testualmente: “ciò che i profeti del turbocapitalismo celebrano, predicano e chiedono è che l’impresa privata sia del tutto liberata da regolamentazioni governative, senza intromissioni da parte di sindacati efficienti, senza pastoie sentimentalistiche sui destini dei lavoratori e di intere comunità, senza l’ostacolo di barriere doganali o restrizioni sugli investimenti…Permettere al turbocapitalismo di avanzare indisturbato significa disintegrare le società in una minuscola élite di vincenti, in una gran massa di perdenti di diverso grado di benessere o di povertà ed in una categoria di ribelli che delinquono”.

E’ questa la fotografia sostanzialmente esatta del disastroso fenomeno sociale della globalizzazione che sabato sera l’ineffabile Luttwak, intervistato da Capri sui fatti di Genova da Gad Lerner sulla rete “La 7”, si arrabattava contraddittoriamente a giustificare fra banalità ed inconcludenze. Non si faccia finta di non capire, non si giri intorno alla questione di fondo, non si alzino cortine fumogene, non si cerchino divagazioni o scappatoie: quello descritto dal noto “esperto” americano è il vero oggetto della contestazione che ha portato pacificamente a Genova 300.000 giovani di tante associazioni e di tante culture e che nel mondo provoca la protesta di crescenti moltitudini. Pensare a qualche contentino, rispondere con marginali od episodiche misure, concedere qualcosa purché la cultura, le logiche ed i progetti del sistema rimangano immutati, non giova ad alcuno e non serve a fermare un movimento che è oramai presente e si muove, in forme diverse, dall’uno all’altro capo del pianeta. Un movimento che si fonda su ragioni fortemente sentite, parte dai giovani per allargarsi ad ogni fascia di età, accomuna e lega tutte le condizioni di povertà, di esclusione e di sfruttamento. Un movimento spontaneo che solo la miopia di un’ottusa arroganza del potere può pensare di bloccare ed abbattere con i metodi fino a ieri usati per spegnere o isolare, tacciandole una volta di utopia e l’altra di arretratezza storica, le voci che si collocavano fuori dal grande coro del “pensiero unico”.

L’Occidente opulento, anch’esso segnato da crescenti squilibri e povertà, è chiamato ad operare in fretta su se stesso un radicale cambiamento e dovrebbe farlo nella consapevolezza di essere una parte modesta dell’umanità che nella sua grande maggioranza soffre l’ingiustizia e l’indigenza. Così come devono prendere atto della insofferenza dei loro popoli quei dittatorelli e quelle caste dominanti che in alcuni Paesi poveri privilegiano su tutto i propri interessi facendo i proconsoli ubbidienti e servizievoli del grande “impero”. Diciamo la verità: il vertice del G8 non è, per difetto genetico e limiti strutturali, all’altezza di dare le risposte che i popoli attendono. Potrebbe farlo l’ONU rinnovata e democratizzata ma si annida proprio dentro il G8 la volontà di impedire un simile sbocco positivo.

Quanto alla violenza di questi giorni, sorprende e preoccupa l’affermazione del Ministro dell’Interno il quale ha sostenuto, contro l’opposta tesi ripetutamente proclamata e pubblicamente testimoniata dai rappresentanti del Global Forum, che vi sarebbero connivenze fra le mille o millecinquecento “tute nere” responsabili degli atti vandalici ed i trecentomila manifestanti che hanno invaso pacificamente la città subendo al tempo stesso gli attacchi dei gruppi estremisti e le cariche della polizia. Una tale sortita, per la sua palese infondatezza e per l’ostilità che la anima, avvalora la tesi del Forum secondo la quale la polizia avrebbe usato infiltrati camuffati da “Black bloc” per creare le condizioni che facessero apparire giustificati gli interventi rivolti a disarticolare le manifestazioni e che favorissero la criminalizzazione del movimento. Gruppi di facinorosi muniti di armi improprie non si lasciano scorrazzare per la città, non si affrontano col lancio indisturbato di lacrimogeni e con l’assalto di reparti di carabinieri o poliziotti in assetto di guerra: si individuano per tempo con gli appositi servizi informativi e si neutralizzano intelligentemente con piccoli nuclei di agenti in borghese opportunamente addestrati ed attrezzati secondo piani di intervento adeguatamente predisposti dagli uffici di polizia specializzati come l’Ucigos e le Digos. Gli interventi in forza di tipo militare e senza selezionare gli obiettivi, salvo che non siano imposti da particolari emergenze che a Genova non c’erano perché non si trattava di fronteggiare una massa di rivoltosi ma piccoli “commando”, servono solo a scatenare la guerriglia urbana facendo il gioco dei fomentatori di disordini.

Perquisizioni d’assalto come quelle effettuate nella notte fra il 21 ed il 22 si giustificano poi solo per annientare covi insurrezionali o pericolose centrali di criminalità organizzata ma non per controllare locali adibiti a centri di coordinamento, uffici stampa e dormitori per giovani manifestanti: operazioni di questo tipo comportano violenze e ferimenti evitabili, costituiscono pericolo per la stessa vita delle persone, espongono la polizia al sospetto di spettacolarità strumentali, sono quasi sempre prive di apprezzabili risultati investigativi e possono risultare improprie in quanto atti di polizia giudiziaria utilizzati nel campo della polizia di sicurezza con oggettive difficoltà di controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria. Se a questo si aggiungono certi ostracismi nei confronti della stampa, alcuni tentativi di condizionare giornalisti professionalmente corretti, l’attacco al diritto di manifestazione pubblica e la demonizzazione persino delle “parole” di dissenso, i rischi cui viene esposta la legalità democratica possono diventare seri e richiedono ogni attenzione ed ogni vigilanza. E questo va detto con una duplice fede: nella democrazia come conquista irrinunciabile di civiltà e nella non-violenza definita da Gandhi “la forza più grande di cui disponga l’umanità”.

Michele DI SCHIENA

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