SCAJOLA: VIOLENZA IDEOLOGICA ED ISTITUZIONALE

 

Ma dove stiamo andando? Quale cultura politica, quale concezione dei pubblici poteri può indurre un Ministro dell'Interno di un paese democratico a dire a cuor leggero, durante un viaggio in aereo, cose cariche di una violenza che "fa tremar le vene ed i polsi"? E quali intenti possono spingere questo Ministro a fare successivamente dichiarazioni correttive che nulla correggono ed anzi aggravano la precedente sortita completando un quadro di affermazioni tanto allarmante quanto privo di coerenza logica e di credibilità?
  "Dopo la morte di Giuliani, quella sera, io ho dovuto dare l'ordine di sparare contro chiunque avesse provato a forzare la zona rossa": così si era espresso il Ministro Scajola il quale in un secondo momento ha fatto sapere che non si trattava di un ordine eccezionale perché l'uso delle armi è già previsto dalla legge e dalle norme di pubblica sicurezza. Ma il Ministro non si è fermato qui ed ha tirato fuori dal suo capiente cilindro la suggestiva sorpresa collegando (Dio sa come!) l'ordine di sparare ad un paventato atto terroristico contro Bush, introducendo cioè una giustificazione inconsistente e fuorviante dal momento che un simile attentato non si sarebbe certo potuto fermare con i poliziotti in servizio di protezione alla "zona rossa" e che l'ordine, come lui stresso ha detto, fu dato "dopo la morte di Giuliani" e non quindi all'inizio del vertice del G8.
  L'ordine di cui parla Scajola si colloca allora fuori sia dall'ambito della legittimità formale (il Ministro non ha il potere di dare l'ordine in questione, in forme peraltro rimaste misteriose) e sia dall'area della legalità sostanziale perché la direttiva venne impartita, per così dire, a "futura memoria" e cioè in assenza, quantomeno per difetto di attualità del pericolo, dei presupposti che per legge possono giustificare l'ordine di usare le armi, sempre che sia dato da parte di chi ne abbia astrattamente il potere. La sicurezza di Bush e degli altri capi di stato e di governo riuniti a Genova viene insomma disinvoltamente giudicata dal Ministro dell'Interno come una esigenza "primaria", tale cioè da legittimare l'uso indiscriminato delle armi nell'ipotesi che si fosse tentato di forzare la cosiddetta "zona rossa": le forze di polizia avrebbero dunque potuto sparare senza una ponderata valutazione della proporzione fra difesa e offesa sia con riferimento alla gravità del pericolo ed alla natura dei beni minacciati (vita, incolumità personale, libertà di riunione, proprietà.), sia in relazione all'attitudine lesiva dei mezzi impiegati e sia infine in rapporto alle conseguenze (probabilmente una carneficina) che l'attuazione di una tale scelta avrebbe sicuramente comportato.
  Sembra quindi che il Ministro non sia stato neppure sfiorato dalla considerazione che il preteso attacco avrebbe potuto essere agevolmente respinto da contingenti di polizia numericamente e tecnicamente adeguati all'esigenza di fronteggiare senza spargimento di sangue la paventata emergenza. E ciò tenendo conto che si sarebbe trattato, in ogni caso, di qualche limitato gruppo di facinorosi (i black block), estranei - come il Ministro avrebbe dovuto allora sapere e come non può oggi ignorare - a quella immensa e pacifica folla di manifestanti che egli, offendendo la democrazia come la verità e la creanza, definisce: "200 mila scalmanati". Sfugge infatti a Scajola che anche per i pubblici ufficiali l'uso delle armi costituisce in ogni caso una estrema ratio perché, come è pacifico anche in dottrina ed in giurisprudenza penale, la vita umana è sacra e, pertanto, fra i vari mezzi disponibili idonei allo scopo, va sempre data preferenza a quello meno dannoso.
  Il fatto è che per il Ministro dell'Interno la vita e l'integrità personale sono valori non assoluti ma relativi e perciò meritevoli di tutela ad ogni costo solo quando si tratti dei potenti della politica e della economia mentre diventano beni sacrificabili quando sono in causa le sorti di migliaia di comuni mortali, soprattutto se colpevoli di dissenso e di protesta. La violenza è sempre un attentato contro la civiltà ma quando esprime una terribile "filosofia politica" e veste panni istituzionali, essa diventa anche un vulnus alla legalità democratica che può aprire la strada alle peggiori avventure.


  Brindisi, 19 febbraio 2002


Michele DI SCHIENA