Sono rimasto
francamente sorpreso quando ho letto le dichiarazioni del vostro
presidente del Consiglio. Silvio Berlusconi è infatti il capo del
governo di un Paese amico, l’Italia, che si trova nel cuore del
Mediterraneo, di fronte a ben otto Paesi arabi, e che grazie agli
intensi e storici contatti fra le sue sponde ha prodotto la più sublime
cultura umana. In realtà sono doppiamente sorpreso, perché nelle
dichiarazioni di Berlusconi vi è un’evidente contraddizione. Il primo
ministro italiano dice che «dobbiamo essere consapevoli della
superiorità della nostra civiltà», quando civiltà significa proprio
«tolleranza e comprensione della diversità», come lo stesso
presidente attribuisce subito dopo all’Occidente. Infatti, senza
tolleranza e comprensione delle diversità, le civiltà non crescono.
Anzi, diventano claustrofobiche.
Noi arabi abbiamo sempre contato sull’Europa, e in particolare
sull’Italia. Sarei amareggiato ma non sarei così sorpreso se queste
dichiarazioni giungessero da un Paese lontano e senza legami geografici
e culturali con il nostro «lago comune». Noi conosciamo i costanti
sforzi compiuti dall’Italia nell’ambito del dialogo Nord-Sud prima,
e del processo di pace poi: sforzi che datano dai tempi di Aldo Moro e
Giulio Andreotti, e che continuano con l’opera del ministro degli
Esteri Renato Ruggiero. Per questa ragione, dopo la caduta del Muro di
Berlino, speravamo (e continuiamo a sperare) ardentemente in un ruolo
effettivo e mirato dell’Europa, e in particolare dell’Italia, per
alleggerire le nostre sofferenze e raggiungere una pace equa e
dignitosa.
Storicamente, è
esistita una simbiosi tra le grandi culture rappresentate dalla Grecia,
da Roma, dall’antico Egitto, dalla Persia, dai Fenici, da Cartagine e
dall’Islam. Una delle prime università islamiche nacque proprio in
Italia, a Salerno. Questo è il segno della coesione che, nonostante
diversità e periodiche frizioni (occupazione romana nel Medio Oriente e
araba in Sicilia, dalla quale però entrambi sono stati arricchiti), non
è mai stata scalfita. Anzi, voglio ripetere che Roma e la sua storia
appartengono alla nostra cultura.
Penso con dolore alla profonda amarezza che proveranno tanti amici e
intellettuali italiani, che ho conosciuto e frequentato durante i miei
dieci anni come ambasciatore della Lega araba a Roma. Gli amici italiani
conoscono meglio di me i profondi legami tra le nostre culture. Vorrei
ricordare che sono stati proprio loro a sottolineare questa influenza
interattiva fra i nostri mondi.
Noi arabi non siamo perfetti. Siamo, al contrario, coscienti dei nostri
difetti e dei nostri errori. Ma l’estremismo è la frangia di un
fenomeno che non è monopolio nostro. Anche in Europa e negli Usa ha
piantato le sue radici. E’ un fenomeno contro il quale tutte le
persone di buona volontà devono combattere. Noi arabi, di fronte alla
ferocia degli attentati compiuti contro il popolo americano a New York e
a Washington, siamo ancora sotto choc. E mai potremmo giustificare
queste manifestazioni di odio e di orrore.
Questo senza rinunciare a segnalare al mondo le ingiustizie, forse
accentuate da una visione non equilibrata della realtà del Medio
Oriente, nelle quali siamo costretti a vivere.
Però non è con la violenza e con l’estremismo che si ripara ai torti
subiti.
Ecco perché le parole del presidente Berlusconi fanno doppiamente male.
Non soltanto a noi, che all’Italia continuiamo a guardare con
ammirazione e speranza, ma a tutti coloro che, nel vostro Paese, si
battono per «la comprensione delle diversità e la tolleranza». Voglio
esser fiducioso che il presidente si renda conto dell’errore. La
convocazione a Palazzo Chigi degli ambasciatori arabi e islamici
potrebbe essere il primo passo
Mohanna
Durra, ambasciatore della Lega Araba